Vincitrice: Virginia HELBLING
Il premio Studer/Ganz è stato assegnato a Virginia Helbling per il manoscritto «Dove nascono le madri». Il premio, che ammonta a 5000 franchi, viene attribuito alla migliore opera prima in prosa e prevede la pubblicazione dell’inedito presso l’editore Gabriele Capelli di Mendrisio.
Una giuria di esperti composta di cinque membri (scrittori, traduttori, giornalisti culturali) ha selezionato il testo vincitore da una rosa di dodici partecipanti. Virginia Helbling è nata a Lugano nel 1974; ha studiato lettere e filosofia all’Università di Friburgo, ha lavorato come giornalista ed è madre di sei figli.
Narrato in prima persona, «Dove nascono le madri» esplora le zone d’ombra di una giovane madre combattuta fra il desiderio di libertà e i doveri che il suo ruolo comporta. La musica attraversa l’intera opera, determinandone l’originalità e offrendo alla protagonista una possibile via di fuga creativa.
Il premio Studer/Ganz per la migliore opera prima in prosa è rivolto ad autori esordienti di età
inferiore ai 42 anni; è stato istituito nel 2006 e da quest’anno è stato esteso alla Svizzera italiana.
La consegna ufficiale del premio si è tenuta il 22 gennaio 2016 alle 18.30 presso la Biblioteca cantonale di Bellinzona. Jacqueline Aerne, del Consiglio di Fondazione Studer/Ganz, ha tenuto la laudatio e Virginia Helbling ha letto pagine dal suo manoscritto.
Laudatio di Jacqueline Aerne, membro della giuria pdf scaricare
Ritratto dell’autrice
Virginia Helbling è nata a Lugano nel 1974. Ha studiato lettere e filosofia all’Università di Friburgo e ha lavorato come giornalista.È madre di sei figli.
Dati del libro
Virginia Helbling. Dove nascono le madri. Romanzo
gabriele capelli editore, Mendrisio 2015
112 pagine, brossura cucita
ISBN 978-88-97308-36-2
Indicazioni sul contenuto
La maternità è un’esperienza forte e destabilizzante anche quando tutto va bene. La protagonista di questo romanzo è madre da poche ore: la sua bambina appena nata dorme nella culla accanto al suo letto in ospedale e lei non sa neppure come prenderla in braccio. Deve imparare tutto. Il suo corpo cambia con prepotenza, e accettarlo non è facile. A casa la vita sembra spegnersi nei ritmi sempre uguali delle giornate dedicate alla cura di un essere ancora sconosciuto che deve essere nutrito e accudito. Difficile ritagliarsi un po’ di tempo per suonare il pianoforte, mentre per il padre della piccola nulla è cambiato: la sua carriera di violinista prosegue senza intoppi. Spesso è assente, oppure, quando c’è, è distaccato. Solo la natura – il bosco dietro casa – sembra accompagnare la protagonista in questo percorso di scoperta di sé, della sua fragilità e della sua forza. Mentre sperimenta la sua nascita come madre cerca un modo per rinascere come donna, rifiutando i luoghi comuni sulla maternità e sforzandosi di ascoltare i suoi bisogni. Nonostante le incertezze e i momenti di stasi, sarà un percorso nella gestazione di un’altra se stessa.
Assaggio di testo
Autunno secco fatto di foglie sbriciolate e ricci vuoti. Il vento fuori asciuga anche gli occhi. Sono immersa in una luce polverosa e insistente con le mani in grembo, addosso ho la camicia da notte. Mia figlia fino a poche ore fa non c’era e adesso dorme coi pugni serrati come conchiglie, la bocca succhia nel sonno. Ho fatto una testolina e un petto che s’alza e s’abbassa, mani e piedi piccini, ginocchia, e una spina dorsale perfetta, chiodino dopo chiodino. Gli altri bambini non mi sembrano altrettanto stupefacenti. Mastica nel sonno e inghiotte. Sospira. Ha un respiro impercettibile, controllo se è ancora viva. È rotonda, calda, gialla e rosa. Sa di latte cagliato e di sonno. Ha gambe troppo gracili e la pancia gonfia: è un feto fuor d’acqua. Era parte di me nel ventre, intima e complice; ora questo esserino si allontana, lentamente si chiude alla mia comprensione e si fa mistero. Guardandola cerco di riorientare un universo che oggi ha cambiato il suo corso lasciandomi in sospeso a mezz’aria, fra il sogno e la realtà, in quell’aura senza tempo dove nascono le preghiere. E le madri.
Sfatta. Odoro di sangue e sudore. Sotto la doccia ho il capogiro, m’appoggio alle piastrelle mentre l’acqua del getto mi punge la schiena e la pelle s’inspessisce per i brividi. Quasi mi duole a sfiorarla, è pelle di febbre, di vecchia malata. Fra le gambe non oso toccare. L’acqua mi scivola addosso e il profumo del sapone cancella il mio odore d’animale. Un po’ torno a essere io, un po’ mi ritrovo. Lei mi aspetta di là, o neppure: s’è dimenticata di me, rifugiandosi in un sonno che l’avvolge da ore. Ha dei segni violacei a forma di ferro di cavallo sulle guance, là dove il medico con i suoi strumenti ha fatto presa per estrarla come una radice dalla mia pancia.
Lei là, nel suo lettino, con le ginocchia ripiegate, e io col ventre ancora gonfio, ma vuoto, sotto la doccia. Non sarò mai più quella di prima. Anche a distanza, anche fuori di me, lei mi tiene.
©gabriele capelli editore, Mendrisio
Giuria
Jacqueline Aerne, Gabriele Capelli, Cristina Foglia, Monica Pavani, Anna Ruchat
Moderazione: Antonio Rossi